Per cominciare
Un fariseo, dottore della legge, interroga Gesù. La sua domanda
non è sincera, ma Gesù non si rifiuta e risponde trasmettendo
il messaggio centrale della legge, che è quello dell'unico
comandamento dell'amore di Dio e del prossimo.
La parola di Dio
Esodo 22,20-26. Nella legge ebraica troviamo queste norme a difesa
dei forestieri, degli orfani, delle vedove, dei poveri. Gesti di
amore e di carità che hanno già il sapore del vangelo.
1 Tessalonicesi 1,5c-10. Paolo fa l'elogio della comunità
di Tessalonica, che si comporta in maniera esemplare, secondo gli
insegnamenti e l'esempio di vita che ha dato lo stesso apostolo.
Matteo 22,34-40. Ancora un altro tentativo di mettere alla prova
Gesù da parte dei farisei e dei dottori della legge. È
la loro ultima manovra, che offre però a Gesù di esprimere
il suo pensiero a proposito del cuore della legge e del vangelo.
Riflettere
Nel brano di vangelo letto in questa domenica Gesù celebra
nel modo più alto l'amore di Dio, che è il vertice
di ogni spiritualità. Afferma che deve essere amato "con
tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente". Cioè
con tutto l'essere. Egli è la fonte del nostro esistere.
Ma c'è anche l'esaltazione dell'amore del prossimo: Dio e
l'uomo vengono associati: sono due facce della stessa medaglia,
uno rimanda all'altro.
L'episodio è centrale ed riportato dai tre evangelisti sinottici,
ma non allo stesso modo. Luca lo inserisce nel viaggio verso Gerusalemme,
fuori da ogni controversia e serve a introdurre la parabola del
buon samaritano. In Marco il contesto è simile a quello di
Matteo, ma è assente la polemica. Lo scriba loda Gesù:
"Hai detto bene, maestro", e Gesù a sua volta gli
dice: "Non sei lontano dal regno di Dio" (Mc 12, 32-34).
Qui invece interrogano Gesù per metterlo alla prova, dato
che ha chiuso la bocca ai sadducei (cf il vangelo di domenica scorsa).
"Maestro, nella legge, qual è il grande comandamento?".
La domanda è raffinata, peccato che sia animata da rancore.
I rabbini, maestri della legge, maniacali nel trasformare in centinaia
di precetti la legge di Mosè, probabilmente si interrogavano
davvero su quale fosse il "grande comandamento", cioè
la disposizione più importante tra quelle che essi stessi
nella storia si erano date
Ricordiamo che essi avevano raccolto la legge in 613 comandamenti:
365 proibizioni (una ogni giorno dell'anno) e 248 precetti (tanti
quanti, secondo loro, erano le ossa umane).
La risposta di Gesù è inequivocabile, splendida, semplice.
"Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta
la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande
e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai
il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono
tutta la legge e i profeti".
Gesù dà valore anche in questo caso alla legge di
Mosè. E presenta un atteggiamento filiale che lui osserverà
per tutta la vita, in tutte le circostanze.
A noi questo amare "con tutto il cuore" fa problema, almeno
praticamente. Amare con tutto il cuore ricorda che è un impegno
che presuppone un oggi e un domani. Che domani sarà possibile
amare Dio più di oggi. Sappiamo anzi che dal nostro amore
di oggi dipende anche l'intensità del nostro amore di domani.
Dice Ranher: "Il nostro è vero amore oggi, solo se si
protende per diventare più di quanto è oggi, se è
amore che si mette in viaggio, se si apre al domani".
Sappiamo poi che concretamente questo amore lo si vive soprattutto
"lasciandoci amare da Dio". Ma questo è un altro
discorso.
Gesù aggiunge: "Il secondo comandamento poi è
simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso". Un
precetto conosciuto anche nell'antico testamento, come abbiamo appena
letto nel libro dell'Esodo. Dove si dice di avere cura e attenzione
per i forestieri, le vedove e gli orfani, per i più indigenti.
Dio si fa vendicatore nei confronti di chi opprime e maltratta,
perché "chi opprime il povero offende il suo creatore,
chi ha pietà del misero lo onora" (Pr 14,31).
Ma sarà tra i cristiani della nuova comunità nata
dalla Pasqua che il precetto dell'amore diventerà pienamente
centrale. E diventerà la caratteristica di un'infinità
di santi. In tempi recenti basti nominare Madre Teresa e Giovanni
XXIII. Ma gli esempi di vita sono tantissimi, con sfumature incredibili,
una fioritura di episodi di eroica generosità. È del
resto l'atteggiamento di ogni cristiano quando si converte davvero
e incontra in qualche modo Dio.
Attualizzare
Se chiedessimo a qualcuno qual è il comandamento più
importante, molti probabilmente risponderebbero: non rubare, non
bestemmiare, saltare la messa di domenica, tradire la moglie o il
marito…
Molti sarebbero anche oggi colti di sorpresa dalla parola di Gesù.
Anche se l'amore è certamente la parola più gettonata
nella comunità cristiana, nella predicazione, nella catechesi,
tra i bambini e tra gli adulti. Una parola forse abusata, che non
sempre ha riscontro nella vita.
Accanto ai santi, infatti, non è difficile vedere tra i cristiani
i guerrafondai, gli usurai, i colonizzatori, i furbastri dell'economia,
i razzisti, i violenti, i vendicatori, quelli che vedono sempre
nell'altro un nemico.
E se vai a scavare a fondo, ti accorgi che gli stessi hanno forse
anche di Dio un'idea sbagliata e non timbrata dall'amore, ma dalla
discriminazione, dalla divisione, dalla separazione: un Dio rigorista
e inflessibile, sempre pronto a punire e a condannare.
La risposta di Gesù non lascia dubbi sulla centralità
dell'amore e i due precetti "simili", che di fatto sono
messi sullo stesso piano, nelle sue parole sono destinati a segnare
il ritmo della vita di ogni vero discepolo, ne danno la prospettiva
dalla quale va guardata tutta la legge.
Un amore che è risposta all'amore di Dio che ci ama per primo.
Amore per il fratello che verifica l'amore per Dio. Lo afferma l'evangelista
Giovanni: "Se uno dice: "Io amo Dio" e odia suo fratello,
è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che
vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il
comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello"
(1Gv 4,20-21); "Amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore
è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce
Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è
amore (4,7-8);
Come dicevamo, è stato prescritto anche qualcosa del genere
già nell'antica legge. Lo abbiamo appena ascoltato: "Non
molesterai, né opprimerai il forestiero, non maltratterai
la vedova o l'orfano…" (Es 22,20). Già a quel tempo
l'attenzione a queste categorie di persone non la si praticava per
puro spirito umanitario ? che sarebbe già un fatto notevole
per quel tempo. Ma lo si doveva fare perché così voleva
Dio, perché "l'ira di Iahvè si sarebbe accesa
e avrebbe fatto morire di spada" chi non avesse fatto in questo
modo, dal momento che "Dio ascolta chi grida verso di lui,
essendo pietoso" (Es 22,20-26).
Per l'ebreo però l'amore non si estendeva a tutti indistintamente.
Se era prescritto questo sentimento di apertura in alcune situazioni,
l'amore veniva per lo più inteso nel cerchio dei propri connazionali,
nel proprio clan, nella famiglia.
Il cristiano invece ama il prossimo non perché è della
stessa sua tribù, del proprio gruppo famigliare (il racconto
di Luca lo precisa: nella sua parabola chi ama davvero è
un samaritano, un nemico). Tanto meno ama solo quelli che gli sono
simpatici o che la pensano come lui.
Ci amiamo perché siamo creature di Dio e perché Dio
ci ama. Dobbiamo amarci perché siamo tutti figli di Dio in
Gesù, fratelli tra di noi nella fede.
L'amore dell'uomo inoltre per noi cristiani nasce dall'amore di
Dio: è per questo che può diventare grande, eroico,
senza misura. Un amore per Dio così fedele e appassionato,
da renderci simili a lui e che ci porta a vivere la misericordia
verso l'uomo.
È proprio questo brano di vangelo che ci fa capire quanto
sia falsa l'idea che la fede in Dio diminuisce l'uomo e il suo impegno
nel mondo. C'è chi pensa che chi guarda al cielo è
un alienato e non gli interessa più ciò che capita
attorno a sé. C'è chi ha scritto che affinché
Dio sia tutto, l'uomo deve diventare nulla (Feuerbach, Nietzsche,
Sartre).
Gesù risponde con la sua vita a questa visione delle cose.
Salendo al cielo è rimasto tra noi incarnato nel volto di
ogni uomo, che per noi oggi è in qualche modo "sacramento
di Dio". Questo ci dice oggi con la sua parola: amare Dio e
amare l'uomo sono un unico precetto, sono "il" comandamento,
la legge della nostra vita. Nessuna gelosia da parte di Dio, nessun
antagonismo.
Invece potremmo riflettere a lungo dove può condurre un impegno
per l'uomo che non sia animato e orientato dalla fede in Dio. Quante
deviazioni e quante velleità si sono concretizzate nella
nostra storia e nella storia a volte tragica degli ultimi secoli.
Senza Dio siamo troppo poveri. La carità inventiva di Madre
Teresa
Madre Teresa. A lei, i teorici della carità posero una montagna
di obiezioni e mossero critiche. L'accusarono su giornali e pamphlet
di sfruttare le sofferenze dei poveri, di rifiutare le soluzioni
scientifiche e politiche ai mali dell'India. Di essere colpevole
di non spendere le molte offerte che le pervenivano per costruire
ospedali moderni e ben attrezzati. Mentre lei, convinta di dover
usare mezzi poveri per poter servire i poveri, si metteva all'opera
ogni giorno tra i più bisognosi, chiedendo alle sue suore
di mantenersi povere, servendosi semplicemente della loro voce,
delle loro mani, delle risorse disponibili per servire e assistere
i più poveri. "Per capire i poveri ed essere accettate
dai poveri, noi dobbiamo vivere come i poveri", diceva a loro.
Non teorizzava Madre Teresa, ma era tenacissima quando capiva che
una soluzione poteva funzionare davvero per i suoi poveri. Spendeva
parole solo per ricordare a se stessa e agli altri di "pregare".
Diceva: "Pregando, Dio mi mette il suo amore nel cuore e così
posso amare i poveri. Senza Dio siamo troppo poveri per aiutare
i poveri".